Questa mostra rappresenta una sorta di omaggio postumo ad uno dei fotografi italiani più importanti del nostro tempo.
Ugo Mulas è venuto a mancare qualche tempo prima della mostra, e l’Istituto di Storia dell’Arte dell’Università ha voluto ricordare un uomo che credeva fermamente nella fotografia come fatto di cultura.
La mostra era in preparazione da almeno quattro anni e comprende 250 fotografie dell’artista. Nel catalogo vi sono, poi, oltre 150 pagine di testo, molte delle quali scritte dal fotografo più per essere presente alla rassegna piuttosto che per “spiegare” le fotografie esposte.
Nella lettera d’invito alla mostra si legge: “Il percorso di Ugo Mulas verrà interamente documentato: dalle foto del vecchio Giamaica fitto di personaggi, ricco di pittori, di critici, di letterati, ripreso col tono e il taglio delle immagini anni trenta, fino alle foto di moda l’ invenzione è proprio nel distinguere il sistema allusivo dell’ambientamento, con le figure inserite nei prismi, nei diedri, simbolo di spazi possibili. E poi il rapporto con gli artisti che in Mulas è fondamentale e che, dal punto di vista di quelli, deve interpretarsi come una vera lettura critica, da parte del fotografo, del loro percorso.
Mulas, su questo piano, dovrebbe avere un posto nella storia della critica d’arte militante, per il suo magnifico volume sulla Pop a New York ripreso nel 1964 e nel 1965 ed edito nel 1967, un libro di una intelligenza culturale altissima. Ma dovrebbe averlo anche per le sue cronache alla Biennale, costanti ormai da un quindicennio: una intera generazione di giovani gli deve molto, gli deve una chiave di lettura, un modello interpretativo, un’impostazione visuale”.
Mulas, negli anni passati, cominciò a occuparsi di poesia e diventò fotografo in seguito. È un autentico artista divorato dalla passione per l’arte e tutta la sua produzione porta l’impronta di questo sentimento.
Come scrive Alan Salamon, “A differenza di molti altri fotografi, Mulas non vi fa mai avvertire la presenza della sua personalità o del suo mestiere. Forse è il più invisibile dei fotografi viventi, in apparenza passivo, affascinante per la sua diffidenza, eppure pronto a lavorare con intensità terribile, preoccupazione totale”.
Mulas, specie negli ultimi anni si è messo a riflettere sul “medium” stesso da lui adoperato, sulla fotografia e il suo significato, sulla fotografia e la sua storia, quindi sulla fotografia e le sue modalità espressive.
In buona parte la sua fama deriva dalle fotografie dedicate agli artisti, ma in lui gioca una coscienza nuova del rapporto tra arte e fruitore. Indicative, in tal senso, sono le immagini dedicate ai tagli di fontana, dove l’opera è letta come testimonianza. Fontana appare solo di spalle o di profilo, ciò che importa è la lametta impugnata, l’attesa a distanza davanti alla tela, i passi che lo dividono dal gesto.
Da questa riflessione è nato il corpo di uno scritto che Mulas ha voluto chiamare “Verifiche” e che diviene il saggio più importante scritto sulla fotografia in quegli anni.