Con la rassegna dedicata a Mario Schifano, inaugurata nel Salone delle Scuderie, l’Istituto di Storia dell’arte riprende il suo discorso di ricognizione critica sul tessuto concreto di alcune fondamentali esperienze dell’arte contemporanea; è un nuovo capitolo dell’indagine avviata con l’esposizione di Ceroli e proseguita con le mostre di Lucio Del Pezzo, Rafael Canogar, Tullio Pericoli e di altri artisti importanti.
Si tratta del ritorno al settore specifico degli operatori d’immagine creativa: un campo che si inserisce nel più ampio progetto di partecipazione civile alla vita della città e che ha trovato i suoi momenti rappresentativi negli interventi sul sistema di informazione visiva nell’odierna società del consumo.
È interessante come la presenza di Schifano ampli il discorso su come si possa “fare arte” in un’epoca che ne predica la morte.
La mostra viene introdotta dalla lettera di Calvesi che cita, riferendosi alle sue opere: ”Non avevano l’anemia di un’operazione intellettuale, al contrario tutta la pregnanza di un gesto vitale, e soprattutto erano e sono irriducibili a un programma, a un calcolo. Furono un gesto non solo vitale ma naturale, disinvolto, come chi li dipingeva, nonostante la sorpresa che destavano, o anche in previsione di quella. Esposto, elegante, rigoglioso, questo azzeramento, questo niente, un niente che conteneva un progetto di tutto. Nascevano da un bisogno di purificazione dalla pittura, dalla materia, dall’informale, dalla rappresentazione, e insieme e inseparabilmente da un amore per la pittura, come per la vita ”.
La mostra è stata allestita secondo un rigoroso criterio scientifico.
Una nutrita antologia critica, scelta ed ordinata da Giuliana Ferrari, consente di ripercorrere l’evoluzione dell’artista, cogliendone la libertà creativa ed invitando a superare le diffidenze e a cogliere per via diretta i segni della sua esperienza d’artista, proiettato nello spazio totale della vita.