La mostra su Joe Tilson organizzata dall’Istituto di Storia dell’arte dell’Università di Parma, è un avvenimento artistico di risonanza internazionale: si tratta della più completa rassegna antologica finora dedicata ad uno dei protagonisti inglesi più geniali dell’arte contemporanea e del nuovo orizzonte di ricerca sulla Pop Art.
L’antologica che gli viene dedicata, si mette a confronto con la cultura artistica americana, che per
Decenni ha tenuto il primato per le nuove poetiche.
L’artista inglese si è mosso in anticipo, è uno sperimentatore che agisce in proprio e si evolve in una complessità di riferimenti, ma anche in una lucida visione intellettuale.
Basta guardare le date di molte opere esposte per rendersi conto che Tilson in diverse occasioni ha precorso i tempi sul piano mondiale; è la vicenda della Pop Art inglese che viene in luce dopo essere stata in ombra rispetto all’analoga esperienza d’Oltreoceano per effetto della maggiore potenza di mercato espressa dagli americani.
“Il problema delle origini della Pop Art- osserva Quintavalle nella presentazione alla mostra- fa naturalmente tutt’uno con quello di una critica alla società di massa e questa critica trova i suoi punti d riferimento in due paesi altamente industrializzati, l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Il recupero critico di alcune delle figure fondamentali sta già avvenendo con figure come Hamilton, di cui ricordiamo la recentissima mostra al Guggenheim, deve essere integrato con una visione organizzata dell’intera situazione inglese.
Tra questi Joe Tilson gioca una parte estremamente significativa anche e proprio per la sua ricerca strettamente legata al tessuto culturale europeo, e per una serie di attenzioni al problema simbolico che si vanno precisando e che ne fanno, in questo ultimo quadriennio, una figura assolutamente singolare anche nei confronti de gruppo di artisti da Allen Jones a Kitai, da David Hockney a Peter Philips che hanno operato contemporaneamente a lui”.
La rassegna ospitata nel Salone delle Scuderie rivela subito gli stretti legami che intercorrono tra Tilson e la cultura italiana: da un lato Burri con i suoi legni ustionati, dall’altro le forme della cultura medioevale interpretate a livello di struttura. Ma già dalla mediazione con l’opera di Burri l’artista inglese rivela una sua precisa tendenza per il simbolo: c’è un’opera, ad introduzione della mostra, in cui oltre la barriera delle ruvide tarsíe in legno grezzo s’intuisce la presenza allusiva di un sottile richiamo enigmatico, motivo che tornerà all’epilogo dell’esposizione con una serie di opere di complessa rielaborazione alchemica.
La ricerca di Tilson si sviluppa in seguito con un esplicito interesse per le ambiguità della scrittura plastica e con la trascrizione dei linguaggi propri della pubblicità.
Tilson procede lungo un percorso di invenzioni, di ironici e giganteschi Puzzles di simboli quali la piramide, l’obelisco, l’uovo, la scatola. L’alfabeto e i numeri compaiono nella sua scrittura sotto la specie di un significato magico, sul versante opposto si leggono richiami al messaggio televisivo.