Mario Giacomelli iniziò nel 1975 a lasciare sue opere alla Sezione Fotografia dello CSAC. Le spediva per posta o veniva a Parma in treno, con le buste arancioni della carta Agfa piene di stampe 30×40 cm. Non viaggiava volentieri, ma a Parma passava abbastanza regolarmente, incontrava Arturo Carlo Quintavalle, lasciava qualche decina di foto per volta: i paesaggi, Scanno, le serie sulle poesie, il mattatoio, i nudi, l’ospizio…
Giacomelli, nato nel 1925 a Senigallia dove ha sempre vissuto, era -ed è- una delle voci più interessanti e note della fotografia italiana del secondo dopoguerra. John Szarkowski, direttore del Dipartimento Fotografia del MoMA, lo aveva incluso, unico italiano, nella mostra Looking at Photographs del 1973. Szarkowski raccontava all’amico Quintavalle che i nomi di fotografi italiani noti negli USA erano due: Alinari e Giacomelli. Su di lui avevano scritto critici vicino al neorealismo e sostenitori della fotografia come arte, da Guido Bezzola a Lanfranco Colombo, a Luigi Crocenzi, Nathan Lyons, Paolo Monti, Piero Racanicchi, Arturo Schwarz, Peter Tausk, Giuseppe Turroni.
Ma nessuno aveva pensato a realizzare, di quel grande e affermatissimo autore, un’antologia esaustiva. Così nel 1980 alla Sala delle Scuderie in Pilotta lo CSAC espose più di 500 sue opere, tutte stampate personalmente dall’autore.
Il catalogo, 280 pagine, conteneva 506 foto, un’antologia critica, il saggio di Quintavalle, e schede critiche che raggruppavano le diverse serie. Nel 1993, quando lo CSAC partecipò alla 45a Biennale d’Arte di Venezia con una riflessione sullo stato della fotografia di paesaggio dal titolo Muri di Carta, Giacomelli portò altre decine di immagini: aggiornamenti, riprese di ricerche mai interrotte, serie completamente nuove o inedite, perfezionò la donazione che portò il suo fondo presso il CSAC a quasi 900 stampe.
Quelle di Zingari, di Un uomo una donna un amore, sono immagini tratte da serie forse meno note rispetto a quelle celebri dei “pretini”, del paesaggi, dell’ospizio: la forze delle singole immagini di Giacomelli è tale da mettere in ombra quelle vicine, da far dimenticare che appartengono a un’opera complessa. L’opera di conservazione, di catalogazione e valorizzazione condotta allo CSAC intende proprio salvaguardare la concreta possibilità di prendere in esame il sistema, per citare Mario Giacomelli, di “Una vita intera” di fotografia.
Zingari: sono fotografie del 1958 su un gruppo di gitani incontrati a Senigallia, lavoro che non riuscì a proseguire per la diffidenza dei capifamiglia. Hanno poco a che vedere con la coeva fotografia di ispirazione etnografica (di Franco Pinna, per esempio) ed è più il racconto di una relazione complice e giocosa, dell’ammirazione del fotografo per la vitalità e libertà di quelle persone. Più vicino all’espressività grafica di William Klein che al nostro neorealismo.
Un uomo una donna un amore: nel 1960 Giacomelli sperimenta un modello anomalo di réportage: segue due fidanzati, con cui concorda l’operazione, tutte le domeniche, per diversi mesi. Nelle passeggiate in pubblico, in momenti più intimi. Più che un esperimento vicino al cinema-verità ne esce una riflessione sottile sulle mitologie, sui modelli del racconto sentimentale che sembra sfiorare il fotoromanzo -la sequenza si chiude con la partenza di lui per il servizio militare- trasposto però su tonalità amare o inquietanti.
Paolo Barbaro